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Medio Oriente
Stati Uniti e Repubblica islamica mai così vicini contro l'ISIS. Gli interessi spiegati dall'ex funzionario del Ministero degli Esteri Ahmad Hashemi
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Potrebbe essere la
terza guerra irachena e la
seconda guerra Iraq-Iran. Ma, dalla Rivoluzione khomeinista del 1979, sarebbe anche la
prima guerra con Stati Uniti e Iran -il Grande Satana e l'asse del Male-
schierati dalla stessa parte: con il Governo di Baghdad, contro gli aggressori stranieri.
Il
primo colloquio informale tra Teheran e Washington è atteso, a margine dei
colloqui per l'accordo sul nucleare in corso dal 16 al 20 giugno a Vienna. Anche se un faccia a faccia sull'Iraq è stato escluso, al termine della prima giornata, il Ministro degli Esteri iraniani
Mohammad Javad Zarif ha discusso dell'emergenza con l'omologo britannico
William Hague.
La telefonata ufficiale Teheran-Londra, che a breve riaprirà l'Ambasciata in Iran, è già di per sé una notizia.
Non lo sarebbero, invece, le trattative dietro le quinte con gli Usa: già
dopo la strage dell'11 settembre, per analoghe cause di forza maggiore, i falchi repubblicani di
George W. Bush si rivolsero, trovando disponibilità, nientemeno che alla Repubblica islamica- Allora l'obiettivo era stabilizzare l'Afghanistan e ottenere le 'extraordinary rendition' di alcuni qaedisti.
Dieci anni dopo, negoziare sembra più facile se non addirittura scontato, con
Barack Obama al posto di Bush junior e con una macchina da guerra da disinnescare, quella dell'
ISIL (
Stato islamico dell'Iraq e del Levante), ancora più feroce di al Qaeda.
Voci di corridoio vogliono che la Guida Suprema
Ali Khamenei abbia sempre tenuto aperto un canale di dialogo sotterraneo con la Casa Bianca, anche negli anni delle sanzioni più dure. Di certo,
con la crisi irachena non esiterà ad accordarsi nuovamente per un aiuto reciproco, nel nome della sicurezza nazionale, magari senza dare troppo nell'occhio.
Dalle reciproche prese di posizione di Iran e Usa contro l'ISIL - gruppo affiliato e poi rinnegato dal network di
Osama Bin Laden - la
vera notizia sono i ventilati colloqui alla luce del sole tra Stati Uniti e Iran. I rispettivi falchi (l'ala dura dei Pasdaran da una parte e l'apparato del Pentagono dall'altra) non risparmiano secche smentite. Ma pubblicamente, tanto la Casa Bianca quanto il Governo riformista di
Hassan Rohani, aprono al gran passo.
Alla tivù di Stato, il Presidente iraniano ha dichiarato di «valutare, se richiesta, una collaborazione con gli Usa» per «contrastare nella pratica e con le parole l'avanzata di terroristi fanatici». In prospettiva, fonti della Difesa americana hanno escluso categoricamente un patto con il diavolo. Ma ai media, il Segretario di Stato Usa John Kerry, riguardo a una collaborazione con Teheran, ha indicato di «non escludere niente che non sia costruttivo».
Di certo a trarre maggior vantaggio “dalla cooperazione sarà l'arci-nemico iraniano, che con la guerra in Iraq guadagna peso e importanza nella politica mediorientale. Quel che accade in Iraq”, ci spiega l'ex funzionario del Ministero degli Esteri iraniano Ahmad Hashemi, “è nell'interesse dell'Iran, perché rende il Governo iracheno di Nuri al Maliki più dipendente da Teheran, dà all'Iran una contropartita per i negoziati di Vienna e avvicina Washington a Teheran: L'Occidente ha bisogno dell'Iran come mai prima, per ridurre la crisi in Siria, Iraq e negli Paesi della regione”.
Paradossalmente Iran e Stati Uniti hanno interessi, anche economici,
convergenti in Iraq. Nella fattispecie,
i pozzi del petrolio sottratti a
Saddam Hussein da un lato e, dall'altro, il
gasdotto Iran-Iraq, grazie al placet del Governo filo-sciita di Baghdad.
Ma, tra le due potenze, sono gli Usa i più svantaggiati, perché “
l'Iraq comunque contende all'Iran il secondo posto tra i maggiori produttori di petrolio dell'OPEC”, precisa l'esperto che ora vive in Turchia: una crisi a Bghdad non potrà che rafforzare l'argento dei persiani. Inoltre, con l'Occidente
“l'Iran ha ora il coltello dalla parte del manico, può includere i suoi interessi in qualsiasi soluzione proposta per l'emergenza. Dopo aver quasi vinto la guerra in Siria, Teheran si trova nella sua posizione più forte e più influente in politica estera”.
Ufficialmente,
Rohani ha condannato i crimini atroci commessi in Iraq e promesso di reagire con forza: ma solo se la Repubblica islamica sarà aggredita, non con un'ingerenza militare diretta.
“
Al momento”, spiega Hashemi, “
per la Repubblica islamica l'ISIL non è una minaccia imminente, prima dei confini iraniani ci sono le zone cuscinetto del Kurdistan e sciite. Solo se l'ISIL diventa più forte, può innescare gli estremisti sunniti iraniani del Baluchistan all'emulazione. Adesso il pericolo è molto più serio per la Turchia, alcuni membri dell'ISIL sono già riusciti a infiltrarsi nel Paese, dove ci sono stati scontri tra l'esercito e i ribelli”.Ma se
Obama ha spedito a Baghdad le prime 275 unità speciali (equipaggiati per il combattimento) in difesa del personale diplomatico, sui media internazionali tuttavia si rincorrono continuamente le
indiscrezioni di uomini dei Guardiani della Rivoluzione, inviati in Iraq già nelle ore successive alla presa di Mosul, in difesa del Primo ministro iracheno
al Maliki.
Tanto Zarif quanto la Portavoce del Ministero degli Esteri iraniano
Marziyeh Afkham si sono affrettati a
smentire battaglioni persiani a Baghdad e dintorni. «
Ma è nell'interesse di tutti stabilizzare il Governo iracheno. Se gli Stati Uniti comprendono che questi gruppi rappresentano un minaccia per la sicurezza nella regione e vogliono realmente combattere il terrorismo e l'estremismo, allora la causa è comune» ha aggiunto al
'New Yorker' il Capo della Diplomazia iraniana che, da Ambasciatore all'Onu, cenava con Hagel e con il vice di Obama,
Joe Biden.
In realtà, gli iraniani in Iraq sono il segreto di Pulcinella: unità al Quds dei Guardiani della Rivoluzione (le forze speciali all'estero di Teheran) sono di stanza a Baghdad dal post Saddam. Secondo il 'Guardian', tuttavia, con l'avanzata dell'ISIS nel Paese sarebbero stati paracadutati altri 2 mila paramilitari basiji: gli ausiliari iraniani impiegati come manovalanza, anche nella guerra contro Saddam tra il 1980 e il 1988.
Ufficiali iracheni hanno rilasciato informazioni circostanziate su 1.500 iraniani che hanno varcato il valico di Khanaqin, nella provincia di Diyala, e di altri 500 avrebbero raggiunto l'area di Badra Jassan. Il 13 giugno scorso, inoltre, altri indiscrezioni sono apparse sul 'Wall Street Journal', sul comandante dei corpo d'élite al Quds, Qassem Suleiman, atterrato a Baghdad, pare, per supervisionare la difesa nella capitale irachena e coordinare l'assistenza.
Ex basiji e vecchio capo dei Pasdaran ai tempi della guerra contro l'Iraq, Suleiman, vicinissimo alla Guida Suprema, è l'uomo giusto al momento giusto. Nessuno crede che il super-comandante si sia precipitato a Baghdad per questioni di routine.
Anche in Siria, dove a parole l'Iraq propugna la dottrina di «non ingerenza negli affari interni», Pasdaran e basiji, specie se afghani, sono una merce preziosa quanto tenuta nascosta, in sostegno al regime di Assad.
Per l'emergenza; il Premier al Maliki ha chiesto più aiuti tanto agli Usa quanto all'Iran. Ed entrambi -senza specificare in che modi- si sono impegnati a fornirli da subito. Anche questo è un altro collante con Washington.
Obama e il Segretario americano alla Difesa Chuck Hagel (suo braccio piazzato a capo del Pentagono) premono per «un'intensa azione diplomatica», che riporti «l'Iraq nelle mani degli iracheni». Kerry invece vedrebbe di buon occhio gli «strike mirati», anche con droni d'attacco degli Usa, affiancati stavolta non dai marine statunitensi ma da truppe iraniane sul campo.
Pure in Siria doveva andare così, prima dell'accordo tra Usa e Russia sulle armi chimiche di Assad. E in Iraq ci sarebbero già i Pasdaran. Per Hashemi, un intervento militare in tandem con gli americani tuttavia è “ancora troppo per Teheran. Quello che l'Iran, in concreto, può fare è cooperare con il Governo Usa, scambiando le informazioni di intelligence e incoraggiando le milizie sciite a combattere contro l'Isis, in coordinamento con eventuali truppe americane”.
All'agenzia 'Reuters' ufficiali americani hanno confidato che «l'Amministrazione Obama sta sondando possibili negoziati diretti con l'Iran sull'Iraq».
A Vienna il vice Segretario di Stato William Burns sarebbe pronto a discutere di Iraq con Zarif, a margine dei negoziati. Tanto il Consiglio supremo della Difesa americano poi, che quello iraniano (Snsc), in questi giorni si sono riuniti per vagliare «tutte le opzioni».
L'inedita guerra al terrore di Usa e Iran batte anche altri terreni delicati, come i colloqui tra il Kurdistan iracheno e la Repubblica islamica. Da Erbil, il Premier curdo Nechirvan Barzani è volato a Teheran per incontrare il Segretario Snsc Ali Shamkhani: l'appello è all'armonia tra curdi, sciiti e sunniti iracheni, uniti contro l'ISIL, il male comune.
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متن انگلیسی مصاحبه
1) Does a war in Iraq make easier
nuclear talks in Vienna for Iran? Is a final agreement with the group 5+1 more
likely today than two weeks ago?
The war in Iraq has brought more weight and importance for
Iran’s Middle Eastern policies in a way that the U.S, has suggested to its arch-enemy
– Iran - to cooperate in this issue. So what happens in Iraq is in the
interests of Iran because it made the Al-Maliki government more dependent on
Tehran and has given a bargaining chip to Iran in the Vienna talks and also broght
Washington-Tehran closer. The West as well needs Iran more than ever to help
reduce the crises in Syria, Iraq and other countries in the region and of
course Iran now has the upper hand to include its own interests in any proposed
solution for the above crises. Iran is experiencing its strongest ever position
and the most influential foreign policy after almost winning the war in Syria.
2) Can Iran take advantage of a long sectarian
conflict in Iraq to rise his oil and gas export in Europa and generally also to
asiatic countries?
Recently there was an argument in Iranian media that Iraq is
taking Iran’s position as the second biggest OPEC oil producer and in reaction
to those news Iranian petrolium minister reiterated that Iran will keep its position
as second oil producer. So again what is going on in Iraq and in the long-run
the weak and divided government in Baghdad is in the interest of Tehran.
3) Rohani proposed Obama an alliance
against rebels of Isis in Iraq. Could political informal negotiations become
open and turn to a war in common (iranian troops + Us raid) in Iraq?
This is too much for Iran to engage in a war at the same
line with Americans against rebels but what Iran could do is that it can cooperate
with the U.S. government in the area of sharing intelligence and encouraging
shiite militia to fight with Isis, in coordination with American troops.
4) How big and near is the danger of
Isil's escalation and militar advance in Iraq for iranian and turkish borders
and for iranian and turkish common people?
For Turkey this danger is more serious as the Isis members
have already infiltrated into Turkey and there was some clashes between Turkish
troops and rebels inside Turkey. For Iran however, Isis threat is not imminent
because there is an Iraqi Kurdistan and Shiite buffer zone between Isis and
Iranian borders. But if Isis become stronger then it can pose threat by
inspiring and playing a role model for Iranian Sunni extremists in regions like
Balochestan province.